Cenni storici sulla cornice
La cornice nasce nel periodo in cui si assiste al generale risveglio della pittura e dell’architettura sacra avvenuta all’inizio del nostro millennio. L’artista, chiamato ad affrescare le pareti delle cattedrali e delle chiese, divideva le varie scene con motivi che la stessa opera architettonica suggeriva, ed elaborava lui stesso elementi decorativi, che verranno poi ripresi per costituire delle vere e proprie cornici. Colonne tortili, fogliame stilizzato, motivi geometrici, sono tutti elementi che si ritrovano di frequente negli affreschi e nelle cornici via via adattati al gusto del momento, con un continuo scambio d’idee e suggerimenti. Un esempio è la cornice della pala di Duccio di Boninsegna, denominata Madonna Rucellai, che sviluppa un motivo, costituito da medaglioni rotondi separate da bande colorate, rielaborato da precedenti bizantini, forma un vero e proprio stile decorativo che si prolunga a Siena nelle decorazioni ad affresco fino al secolo XVI.
Contemporaneamente alle decorazioni ad affresco nascono, nel tardo medioevo le opere pittoriche mobili, eseguite su pannelli di legno con un fondo dorato secondo la tradizione bizantina. Si tratta in genere di opere particolarmente importanti, denominate pale o polittici a secondo della loro forma, destinate ad ornare gli altari delle nuove cattedrali, che venivano sorgendo in tutti i centri abitati. In questo contesto la cornice assumerà un ruolo di arte a sé stante. Essa risulterà parte integrante dell’arredo liturgico della chiesa, nell’Europa del XVIII secolo.

In principio la cornice non era considerata singolarmente, ossia non visse una vita propria, ma legata al quadro stesso che la racchiudeva, poiché la superficie che doveva essere poi dipinta veniva ricavata ribassando la parte interna di una tavola, così da lasciarne il perimetro rialzato di qualche centimetro. Questa è una tecnica bizantina, russa e greca.

Verso i primi anni del Trecento, con le evoluzioni dei primi accenni architettonici, quali il timpano (*1) e gli archi, comparsi all’incorniciatura delle tavole alla metà del secolo precedente, si andò affermando una cornice totalmente legata agli schemi architettonici.

All’arco e all’ogiva (*2) si aggiunsero a sostegno colonnine tortili, lesene (*3), pilastri poggiati su una stessa base (predella) (*4), molte volte decorata con rappresentazioni sacre ispirate al dipinto. Gli elementi che segnarono la nascita del trittico e del polittico a chiara imitazione delle facciate delle chiese gotiche, furono l’unione di varie tavole dipinte – la centrale più grande e le laterali più piccole, divisi fra loro dall’utilizzo di colonne e lesene – e lo sviluppo in verticale d’altri elementi dell’architettura, quali la fogliolina, i pinnacoli (*5) e i trafori (*6).

I trittici formavano una sezione simile alla pianta di una chiesa: il pannello più alto equivaleva alla navata centrale e i due più piccoli alle navate laterali. Le incorniciature erano in armonia con la parte scultorea dell’edificio, la loro presenza ben si adattava all’architettura e agli arredi della chiesa, questa sintonia era data dal fatto che spesso erano disegnate e realizzate da chi aveva eseguito le sezioni del coro del pubblico e della tramezza (balaustra) (*7).

La concezione della cornice come contenitore indipendente dal dipinto e non indivisibile venne attribuita a Gentile da Fabriano, quando nel 1423, introdusse una cornice completamente indipendente e autoportante per la pala dell’Adorazione dei Magi.

Nella prima metà del XV secolo, nel campo pittorico, s’introdusse la prospettiva. Quest’innovazione condizionò l’incorniciatura, infatti, essa non separa più con archi e colonne il dipinto, ma avendo esigenza di spazi più ampi ove poter costruire un’unica scena, abbandona lo slancio verticale gotico, per adeguarsi ad un formato quadrato o rettangolare, valorizzando quindi la dimensione orizzontale.

Nasce così la cornice a tabernacolo, legata all’architettura classica, a imitazione della facciata di un edificio. E’ formata da un alto basamento alle cui estremità si ergono due colonne o due lesene, che possono essere scanalate o decorate a nastri vegetali (*8), sormontate da un alto architrave.

Nel 1436 Leon Battista Alberti scrive un trattato sulla pittura nel quale parla del principio della realizzazione di un quadro. Egli spiega che s’inizia scrivendo un quadrangolo di angoli retti, decidendo le dimensioni che si vogliono dare. Questo quadrangolo, lo reputa una finestra aperta dove si guarderà quello che vi sarà dipinto.

La concezione di finestra attraverso cui guardare uno spazio ricavato in una parete, si contrappone al concetto statico monoblocco della cornice gotica a somiglianza della chiesa in cui era ospitata.

La cornice rinascimentale divenne essenzialmente una struttura architettonica inserita nella parete, una vera incorniciatura di finestra delimitante lo spazio visibile dalla parete, ed evidenziando ancora di più la profondità del dipinto. Per questa ragione si trovano così tanti riscontri fra le varie tipologie di incorniciature architettoniche del XIV secolo e le cornici a tabernacolo.

Di primario interesse sarebbe stabilire se lo stile architettonico ha influenzato nelle forme l’intagliatore di edicole o viceversa, anche se il Vasari, nella biografia di Baccio d’Agnolo, ci rende noto che per un buon architetto era meglio “esercitarsi su incorniciare il legno prima di affrontare la pietra”. Resta comunque certo che vi era una collaborazione e uno scambio di informazione fra intagliatori e architetti, essendo troppe le analogie.

Il culmine dell’arte europea nell’ambito delle cornici si ebbe tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI, quando grazie al mecenatismo delle grandi famiglie nobili e degli ecclesiastici, si commissionarono ai maggiori artisti quadri dai soggetti più vari.

Ciò diede luogo alla progettazione e alla creazione di nuove tipologie di cornici, anche tenendo conto che il dipinto non era più solo legato alla liturgia, ma iniziava a far parte del patrimonio laico.

Da segnalare in questo periodo l’introduzione di una nuova cornice, il tondo con decorazioni a carattere vegetale ispirate a terracotte dei Della Robbia apprezzate soprattutto nell’area toscana.

A cavallo fra il XV e il XVI secolo si ha una sorta di evoluzione della cornice a edicola: si semplificarono gli elementi architettonici, le colonne spariscono, il frontone e la base si riducono e i quattro lati tendono a somigliarsi, creando una cornice molto lineare, con la forma base costituita dai profili esterno e interno rialzati rispetto alla fascia piatta. Si ha la nascita di quella che è definita comunemente cornice “a cassetta”.

Questa cornice è costituita da tre soli elementi, quindi di facile esecuzione, notiamo: la parte portante (telaio), formata da una parte di legno piatta assemblata a 90 gradi, e due sagome laterali, applicate e unite agli angoli a 45 gradi.

Queste due sagome possono essere realizzate con innumerevoli variazioni, con gole e gole rovesce (*9) o intagliate con fuselli e palline (*10) e combinate con vari elementi decorativi. La fascia può essere arricchita con decorazioni in pastiglia (*11) , con motivi bulinati o incisi; può essere colorata (solitamente in toni scuri) e poi arricchita con racemi (*12) dorati ecc.

Verso la fine del XVI secolo si hanno applicazioni di fregi (*13) intagliati ai centri e agli angoli che, oltre a svolgere una funzione decorativa, permettono di nascondere le fessure dovute al ritiro del legno alla giunzione degli angoli. L’esecuzione facile di questa cornice e le molteplici possibilità di variazioni decorative, favorirono l’espandersi in tutta la penisola, inoltre ritroveremo questa tipologia anche nel XVIII secolo.

Altra cornice che ritroviamo nel XVI secolo è la cornice alla Sansovino, che prese il nome dall’architetto e scultore di origine fiorentina Jacopo Sansovino, trasferitosi a Venezia nel 1527, dopo il sacco di Roma. Questa cornice prese ispirazione dalle incorniciature in legno o in stucco del palazzo dei Dogi e delle chiese di Venezia; ancora più chiara è l’ispirazione agli ornamenti in stucco eseguiti dai decoratori italiani nei soffitti del palazzo di Fontainebleu.

Risulta essere una cornice dalle forme forti, quasi rustiche, in netto contrasto con le precedenti, le sue caratteristiche sono le robuste volute (*14) e i nastri che si evolvono verso il centro e verso i bordi. Molte volte sono arricchite ai centri da cariatidi (*15) laterali e teste di putti, da cui si dipartono ricche ghirlande di fiori e frutti.

Possono presentarsi completamente dorate o con legno a vista, il più delle volte tinto a noce, con lumeggiature in oro sui cordoni e nelle parti più rilevate. La cornice alla Sansovino per il successo conseguito, si diffuse oltre i confini di Venezia, toccò tutta l’area veneta fino ad arrivare ad imporsi lungo l’intera costa adriatica.

Rimase sulla vetta per buona parte del XVII secolo. Verso la fine del XVI secolo la struttura della cassetta va evolvendosi: la fascia centrale si presenta con più intagli e le molure laterali perdono la loro essenzialità, arricchendosi di intagli a foglie. Tende a scomparire il profilo esterno in quanto la fascia centrale si fa predominante con i suoi intagli a motivi di frutti, vegetali e di volute.

La cornice parte da un piano esterno più basso e alzandosi leggermente verso la luce, porta il dipinto più in avanti rispetto al piano di fondo, diviene così meno netta la separazione fra la cornice e la parete su cui è posta. Nel corso del XVII secolo l’intaglio si fa sempre più ricco, i motivi di frutti vanno rarefacendosi, mentre i richiami vegetali sono sempre più frequenti e gli intagli del fogliame, con le loro grandi volute, assumono aspetti di virtuosismo. Acquistano maggior rilievo le decorazioni dei centri e degli angoli, da cui generalmente si dipartono tutti i motivi ornamentali, con i loro intagli a conchiglie, mascheroni, cartigli e legature (*16) .

Cosi come è stata segnalata la Sansovino quale cornice significativa del XVI secolo, è doveroso citare la Salvator Rosa o “maratta”, come viene definita oltralpe, quale cornice di unione fra il XVII e il XVIII secolo. La Salvator Rosa è una delle tipologie di cornici più conosciute e ancora oggi viene prodotta utilizzando linee stilistiche più moderne. La sagoma della Salvator Rosa si configura come un alternarsi di gole e gole rovesce che possono essere arricchite da uno o più ordini di intaglio a motivi di ovoli (*17), nastri arrotolati o foglioline.

La cornice “veneziana”, creata a Venezia e successivamente diffusa nell’area circostante è fra le più note del XVIII secolo, spesso è stata utilizzata per incorniciare i dipinti dei maestri veneziani dell’epoca, essa è riconoscibile per le cartelle (*18) che ornano i quattro centri dei lati e per gli eleganti abbinamenti foglie – fiori intagliati negli angoli. Nella seconda metà del XVII secolo si eseguivano in questa città già i primi esempi di cornici laccate su influenza degli esempi olandesi o inglesi (su modello di Billot o Watteau), ma è nel XVIII secolo che si hanno i massimi esempi di cornici laccate. Sulla scorta di viaggi e commerci con l’oriente, divenne di moda la lacca a “cineserie”, che diede vita alla nascita di una nuova figura professionale: il “pittore alla cinese”.

In contrapposizione alla nuova moda e alla crescente richiesta di cornici e arredi così decorati, emerse la necessità di produrre cornici più economiche. Da qui la nascita dell’arte povera, che consisteva nell’applicare alla cornice, una volta laccata, delle sagome ritagliate, una sorta di “cartine” stampate e colorate, raffiguranti personaggi, animali, fiori e frutti, che, fissate da vari strati di sandracca (*19), davano l’illusione della pittura. Note per l’esecuzione di queste cartine sono le calcografie del Wagner, di Teodoro Vieroe, soprattutto, quella dei Remondini di Bassano.